Daniele Pinni
Filosofi
“L’immagine è la benedizione e la maledizione della vita umana; solo in immagini essa può comprendere se medesima, e insopprimibili sono le immagini, esistono in noi fin dall’inizio dell’umano gregge, precedono e superano la forza del nostro pensiero”1.
Mi pare che queste parole dello scrittore austriaco Hermann Broch incornicino bene la scena in cui sono collocate le dieci tavole dipinte che Daniele Pinni dedica ad altrettanti filosofi. L’artista, infatti, non può che affidarsi alle immagini, il che, nel caso di un pittore, è ovvio. Meno ovvio è che le sue immagini siano un tentativo di comprendere la sua stessa vita e, più in generale, la vita umana. E ancora meno scontata è la possibilità che in esse egli renda visibile ciò che altri hanno pensato, potenziandone la forza, raccogliendone le suggestioni, incrociandole con le proprie e costruendo così un intreccio che è la sua stessa visione del mondo. È in queste faticose operazioni che Pinni si è cimentato correndo quello che Platone chiama “il bel rischio dell’interpretare” e affidandosi all’intuizione, secondo una fulminante illuminazione di Schopenhauer che gli è particolarmente cara: “Sapienza e genio, queste due cime del Parnaso dell’umana conoscenza, hanno le loro radici non nella facoltà astratta, discorsiva, ma nell’intuitiva. La vera sapienza è qualche cosa di intuitivo, non di astratto”.