Titolo: Editoriale
Tipo di pubblicazione: articolo
Anno di pubblicazione: 2024
Autore: Michele Marchetto
Rivista: IUSVEducation Supplemento al n. #23
Pagine: 4-7
Data di pubblicazione: luglio 2024
Editore: IUSVE – Istituto Universitario Salesiano
ISSN: 2283-642X
Come citare: Marchetto, M. (2024). Editoriale. IUSVEducation, Supplemento al n. 23, 4-7. https://www.iusveducation.it/editoriale-supplemento-al-n-23/
Paper PDF: IUSVEducation_23_Marchetto_EDITORIALE.pdf
Editoriale
Il numero 23 (2024) di Iusveducation si arricchisce di un Supplemento dedicato al Workplace Learning, un tema di grande interesse in un tempo di profonde trasformazioni. Crocevia di questioni relative alla relazione fra apprendimento, lavoro e formazione, il Workplace Learning sollecita l’attivazione di un lavoro scientifico che non può che essere interdisciplinare, con il coinvolgimento di discipline di natura non solo pedagogica, ma anche sociologica, economica, antropologica, psicologica. Proprio questa connotazione è una delle ragioni per cui i componenti della redazione di Iusveducation hanno accettato convinti la proposta delle curatrici Mariachiara Pacquola e Chiara Biasin: essa, infatti, è perfettamente in linea con l’identità della rivista, dichiaratamente “interdisciplinare” fin nella sua denominazione. La seconda ragione che ha portato alla pubblicazione di questo supplemento è il carattere educativo del tema, anch’esso coerente con la nostra mission: l’apprendimento informale sul luogo di lavoro, connotato da processi, dinamiche, attori, saperi, modalità, condizioni profondamente diverse da quelli della formazione formale sul luogo di lavoro, riguarda il modo e le condizioni con cui le persone, mentre lavorano, apprendono su di sé, sull’attività, sulle relazioni, sugli artefatti prodotti e sul lavoro stesso. Ne deriva una terza ragione che dà conto della nostra scelta: si tratta della generale valenza antropologica dell’argomento, alla luce della quale il lavoro e l’attività professionale non sono più soltanto strumenti e fini della vita umana, ma rivestono un valore formativo intrinseco, da considerare nella sua specificità.
In questo senso la dignità e la centralità del lavoro si possono apprezzare se collocata fra due estremi temporali e culturali: da un lato, la riflessione della filosofa Hanah Arendt contenuta nell’opera Vita activa. La condizione umana (1958); dall’altro, l’ecologia integrale della Laudato si’ (LS) di papa Francesco; nel mezzo, le trasformazioni già indotte nel recente passato e nel presente, e quelle previste per il futuro, a seguito dell’affermazione di quello che il pontefice chiama «paradigma tecnocratico». Scrive Arendt:
L’attività lavorativa [che chiama in causa il tipo umano dell’animal laborans] corrisponde allo sviluppo biologico del corpo umano, il cui accrescimento spontaneo, metabolismo e decadimento finale sono legati alle necessità prodotte e alimentate nel processo vitale della stessa attività lavorativa. La condizione umana di quest’ultima è la vita stessa. L’operare [proprio del tipo dell’homo faber] è l’attività che corrisponde alla dimensione non-naturale dell’esistenza umana, che non è assorbita nel ciclo vitale sempre ricorrente della specie e che, se si dissolve, non è compensata da esso. Il frutto dell’operare è un mondo “artificiale” di cose, nettamente distinto dall’ambiente naturale. […] La condizione umana dell’operare è l’essere-nel-mondo. L’azione [tipica dell’uomo come zoon politikon, animale socievole], la sola attività che metta in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione umana della pluralità, al fatto che gli uomini, e non l’Uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo (Arendt 20019: 7).
Naturalmente in questa sede non è possibile seguire le argomentazioni di Arendt. Possiamo tuttavia metterne in evidenza le conclusioni, ossia la vittoria dell’animal laborans sugli altri due tipi. Lo sviluppo della modernità ha portato alla «perdita di esperienza umana», con la riduzione del pensiero a «calcolo delle conseguenze» e a «funzione cerebrale», a vantaggio del prepotere degli strumenti tecnologici. Il rischio è che l’età moderna, «cominciata con un così eccezionale e promettente rigoglio di attività umana [l’homo faber] termini nella più mortale e nella più sterile passività che la storia abbia mai conosciuto» (ibi: 240). Arendt non aveva certo cognizione delle, per ora, estreme conseguenze del paradigma tecnocratico e, tanto meno, dei sistemi di controllo, se non di dominio, dell’IA e di altre tecnologie oggi emergenti sui lavoratori, sui processi di lavoro e sui ruoli professionali. Si pensi, ad esempio, ai sistemi di machine learning per la selezione e l’assunzione online, che rischiano di esasperare pregiudizi già esistenti a danno delle lavoratrici, o a al monitoraggio e alla sorveglianza anche sulla vita privata dei lavoratori, con grave compromissione delle libertà personali (Capasso, Santoni de Sio: 92). Per non parlare dell’esasperazione dell’idea di dominio nella forma «strutturale», per cui ad essere dominanti non sono singoli agenti, ma norme sociali, pratiche, strutture che determinano posizioni di potere asimmetriche, che estendono la sfera della dominazione a una sfera ben più ampia del classico rapporto servo-padrone:
La persistenza e l’acuirsi di fattori come il controllo da parte dei datori di lavoro attraverso dispositivi di sorveglianza, di pratiche discriminatorie tramite IA, di scarsa protezione sociale e forme di lavoro precario come i lavoratori autonomi delle piattaforme, solo per citarne alcuni, dovrebbero essere considerati come la manifestazione di pratiche e strutture sociali che hanno bisogno di una più ampia valutazione critica e di un più ampio controllo democratico (ibi: 94).
A queste criticità se ne dovrebbero aggiungere altre, fra le quali va qui richiamata almeno quella della disuguaglianza fra capitale e lavoro, che riduce il valore di quest’ultimo. Nei paesi avanzati, infatti, «la quota del lavoro è in genere tra il 55 e il 70% del reddito nazionale». La caduta della quota del lavoro non sarebbe il risultato di variazioni nella composizione dei settori economici, ma l’esito dell’ottenimento di maggiori profitti in tutti i settori, in particolare in quello finanziario e in quello tecnologico (Franzini, Pianta: 34-35). Il che si traduce in una grande disuguaglianza nella distribuzione del reddito: infatti, la sua fonte principale per la maggior parte delle famiglie è il salario, mentre «i profitti sono distribuiti in larga misura al 10% più ricco della popolazione» (ibi: 40).
Di contro a questa situazione problematica, provocata sia dall’uso perverso della tecnologia sia dal predominio della finanza, papa Francesco propone di difendere il valore del lavoro, proposito esplicitato nel paragrafo “La necessità di difendere il lavoro” del capitolo III della Laudato si’ (“La radice umana della crisi ecologica”). È il racconto biblico a «integrare» il valore del lavoro:
Dio pose l’essere umano nel giardino appena creato (cfr. Gen 2,15) non solo per prendersi cura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché producesse frutti (coltivare). Così gli operai e gli artigiani “assicurano la creazione eterna” (Sir 38,34). In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha inscritto nelle cose: “Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo assennato non li disprezza” (Sir 38,4) (LS: § 124).
È attraverso il lavoro e la relazione dell’uomo con le cose che si pone «l’interrogativo circa il senso e la finalità dell’azione umana sulla realtà» (ibi: 125), centro della stessa Enciclica (cfr. ibi: 160). Infatti, «qualsiasi forma di lavoro presuppone un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da sé» (ibi: 125), in una delle relazioni fondamentali dell’uomo, insieme a quella con se stesso, a quella con la Terra e a quella con Dio. Del resto, il modello di san Benedetto da Norcia attribuisce al lavoro manuale un altissimo senso spirituale, purtroppo spesso smentito dalle condizioni di ordinaria schiavitù in cui operano molti lavoratori nel mondo (Italia compresa) e dai frequenti incidenti mortali che lo accompagnano. Il lavoro dovrebbe essere l’ambito di un multiforme sviluppo personale, «dove si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione» (ibi: 127).
Vale la pena di leggere per intero la riflessione conclusiva di papa Francesco:
Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Tuttavia l’orientamento dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro, che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di lavoro “ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del ‘capitale sociale’, ossia di quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile” [Benedetto XVI 2009: 32]. In definitiva “i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani” [ibidem], Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società (LS: 128).
È alla luce di questo pensiero che proponiamo questo supplemento al n. 23 di IUSVEducation, che mette il lavoro al centro della riflessione scientifica interdisciplinare, come punto in cui si intersecano le linee di maggior interesse della nostra rivista. Per questo a Mariachiara Pacquola e a Chiara Biasin va il ringraziamento più sentito, e non retorico, per il prezioso lavoro di curatela dei contributi che seguono.
Bibliografia
Arendt, H. (20019). Vita activa. La condizione umana. Bompiani. Benedetto XVI (2009, 29 giugno). Lettera enciclica Caritas in Veritate.
Capasso, M., Santoni de Sio, F. (2024). IA e politica tra libertà, lavoro e design. In Galletti, M., Zipoli Caiani, S. (Eds.). Filosofia dell’Intelligenza Artificiale. Sfide etiche e teoriche (pp. 83-100). il Mulino.
Franzini, M., Pianta, M. (2016). Disuguaglianze. Quante sono. Come combatterle. Laterza.