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Home IUSVEducation #23

Editoriale #23

Sonnambulo ed emotivamente instabile, l’italiano di oggi sembra molto simile al prigioniero della caverna platonica o al giovane Kaspar Hauser: l’uno, rapito dalle ombre e dalle immagini della realtà vera e incapace di volgere lo sguardo altrove; l’altro, sepolto vivo in un buco, privo di parole da dire, ignaro della propria condizione, accudito e nutrito dal suo carceriere. E, come il prigioniero di Platone o Kaspar, anch’egli ha bisogno di essere sciolto dalle catene e avviato alla guarigione: qualcuno o qualcosa lo dovrebbe destare.

IUSVEducation di IUSVEducation
18/04/2024
in IUSVEducation #23
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Editoriale #23

Titolo: Editoriale
Tipo di pubblicazione: articolo
Anno di pubblicazione: 2024
Autore: Michele Marchetto
Rivista: IUSVEducation #23
Pagine: 4-7
Data di pubblicazione: aprile 2024
Editore: IUSVE – Istituto Universitario Salesiano
ISSN: 2283-642X
Come citare: Marchetto, M. (2024). Editoriale. IUSVEducation, 23, 4-7. https://www.iusveducation.it/editoriale-23/ Paper PDF: IUSVEducation_23_Marchetto_EDITORIALE.pdf

Editoriale

Il 57° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese (2023) delinea un profilo degli italiani caratterizzato da sonnambulismo ed emotivismo. Come chiarisce nel suo articolo Lorenzo Biagi, il sonnambulo è una persona apparentemente vigile, che in realtà non è consapevole di ciò che sta vivendo né, tanto meno, del futuro che lo attende, preannunciato nel presente da presagi e avvertimenti quasi sempre minacciosi. La mancanza di consapevolezza si traduce nell’assenza di decisioni e iniziative e, in ultima istanza, di razionalità critica e saggia, come insegna la tradizione etica teleologica che trova la giusta mediazione fra principi generali e condizioni particolari. A richiedere una razionalità nel pieno delle sue funzioni, teoriche e pratiche, sono la profonda e radicale transizione demografica del nostro paese, segnata da una preoccupante denatalità; gli annosi problemi strutturali che affliggono la società, dei conflitti, delle fragilità, delle disuguaglianze; la politica, del tutto priva di visione; l’economia, sospesa fra globalizzazione e tentazioni sovraniste; le paure provocate da guerre inattese; la perdita di energie e competenze che afferiscono al cosiddetto “capitale umano” giovanile. Al sonnambulismo della ragione si accompagna, necessariamente, l’ipertrofia delle emozioni, che offuscano, deformano, rimuovono i veri problemi del Paese: per il Censis,

nell’ipertrofia emotiva in cui la società italiana si è inabissata, le argomentazioni ragionevoli possono essere capovolte da continue scosse emozionali. Così trovano terreno fertile paure amplificate, fughe millenaristiche, spasmi apocalittici, l’improbabile e il verosimile (infra: 41).

  Due terzi degli italiani reagisce ai problemi disegnando scenari apocalittici dai quali vengono risucchiati: dal timore della “sostituzione etnica” a quello del collasso finanziario dello Stato, passando attraverso la paura di non potersi curare a causa delle precarie condizioni in cui versa il sistema sanitario pubblico. Va da sé che questo emotivismo si scarica sui social nelle forme di un rancore rabbioso e incontenibile, oppure in quelle dei vari negazionismi, l’apoteosi della rinuncia alla conoscenza scientifica e alla forza stringente dell’argomentazione razionale. Il paradigma tecnocratico ci mette certamente del suo, accelerando l’immediatezza delle risposte emotive e azzerando la lentezza del pensiero critico e ponderato. Ma anche con la conseguente espansione dell’analfabetismo di ritorno, esito dell’impoverimento della visione e dell’intelligenza alfabetica e sequenziale (si vedano i dati sulla disaffezione degli italiani alla lettura). Sonnambulo ed emotivamente instabile, l’italiano di oggi sembra molto simile al prigioniero della caverna platonica o al giovane Kaspar Hauser: l’uno, rapito dalle ombre e dalle immagini della realtà vera e incapace di volgere lo sguardo altrove; l’altro, sepolto vivo in un buco, privo di parole da dire, ignaro della propria condizione, accudito e nutrito dal suo carceriere. E, come il prigioniero di Platone o Kaspar, anch’egli ha bisogno di essere sciolto dalle catene e avviato alla guarigione: qualcuno o qualcosa lo dovrebbe destare. Il progetto di ecologia integrale che, dopo la Laudato si’ del 2015, papa Francesco ha rilanciato con l’Esortazione apostolica Laudate Deum, potrebbe assolvere questo compito. Egli, infatti, chiede una conversione che, prima di essere ecologica, deve riguardare la condizione umana tutta intera, a partire dalla domanda sul senso e sul fine di ogni cosa. E a maggior ragione se, come denuncia il pontefice, mancano ancora interventi concreti per evitare che «la casa si sgretoli», in una situazione che, con l’accelerazione delle ricerche e delle possibilità di utilizzo dell’intelligenza artificiale, vede avanzare ulteriormente il “paradigma tecnocratico”. Come mette bene in evidenza nel suo contributo Walter Magnoni, al centro va posta la questione del potere e della sua gestione senza che vi sia una «decadenza etica del potere reale» (infra: 24). La via da perseguire non può essere la riduzione di tutto alla mera ricerca di soluzioni tecniche, ma una visione di più grande respiro che consideri la persona all’interno di un «antropocentrismo situato» che dia all’essere umano uno sguardo nuovo sulla realtà. In questo contesto va precisato il concetto di “sostenibilità”, diventato un orizzonte d’impegno per istituzioni e singole persone. Lo fa il contributo di Davide Girardi, che presenta i principali risultati delle prime azioni di ricerca condotte nell’ambito di un’indagine svolta da Ipsos in collaborazione con IUSVE sul tema dei green jobs e delle rappresentazioni della sostenibilità che oggi caratterizzano i giovani adulti. I risultati dimostrano che le aziende che oggi si muovono secondo i dettami della sostenibilità sono coerenti con il paradigma dell’ecologia integrale. La vera sfida, tuttavia, come conclude Magnoni, è trovare un’etica, una cultura e una spiritualità solide, che pongano un limite al potere tecnocratico ed economico, e lo contengano. In questa direzione va il contributo di Angela Ales Bello dal titolo L’amore per la natura nel paradigma dell’ecologia integrale di papa Francesco: una lettura fenomenologica. Partendo dalle domande: Che cosa è la natura? Qual è il rapporto dell’essere umano con la natura dal punto di vista della sua conoscenza?, l’autrice presenta una riflessione che attinge al pensiero di due fenomenologhe, Hedwig Conrad-Martius, anche biologa, e Edith Stein. Dai Dialoghi Metafisici della prima si comprende come vada superata la visione naturalistica della natura alla base di numerose discipline scientifiche, per valorizzare la ricchezza di un approccio che, attraverso la fisica, in particolare la teoria della relatività e la teoria dei quanta di energia, giunge a individuare la presenza di una forza interna e non esterna ai corpi, una dimensione “trans-fisica”, che si trova, del resto, già in Aristotele. Riprendendo Essere finito e Essere eterno di Stein, Ales Bello si sofferma poi sulla reciproca partecipazione di materia e spirito. Su questa basi, infine, argomenta a sostegno di un antropocentrismo educato alla spiritualità cristiana: quella ecologica è una conversione interiore, che richiede umiltà ed è fondata sull’amore fraterno e universale, quindi anche nei confronti della natura (infra: 15). Scrive Edmund Husserl: «Noi potremmo dire che coloro che si amano non vivono l’uno vicino all’altro, potenzialmente e attualmente. Essi condividono, dunque, anche tutte le responsabilità, sono legati solidamente, pure nel peccato e nella colpa» (infra: 16). L’autentica caritas comprende anche l’amore per il nemico, particolarmente significativo in questo tempo segnato da guerre tremende. Il contributo di Ales Bello si traduce così, da un lato, in un appello per la pace, dall’altro, in un’assunzione di responsabilità per l’urgenza di un intervento a favore della natura, che siamo chiamati ad amare. Emblematica espressione di amore per l’umanità e per la natura è l’esperienza personale e artistica di Pippa Bacca, presentata da Milena Cordioli e Arianna Novaga. L’amorevole e struggente attenzione alla condizione femminile è il filtro attraverso il quale la performer trasmette il messaggio di pace e di armonia universale. Ogni suo gesto è una forma di cerimonia encomiastica, marcata da una potente caratura simbolica, «pensato e agito per raccordarsi con la dimensione muliebre e tradizionale del lavoro quotidiano e con l’eterno femminino, contraltare di un’inesplicabile natura umana generatrice di guerra e violenza, invece che di vita» (infra: 62). L’epilogo del viaggio, tragico e inaspettato (la morte violenta di Pippa), scrivono le autrici, «ha messo fine alla performance ed è diventato in breve un fatto di cronaca che ha diviso l’opinione pubblica tra coloro che hanno frettolosamente incriminato la presunta ingenuità di una donna sola, oltretutto in abito nuziale, che ha “osato” attraversare una zona esiziale (il mondo degli uomini?), e coloro che hanno colto nella figura di Pippa un modello di libertà, fiducia, persino di fede» (infra: 63). L’articolo che proponiamo, corredato dalle foto della perfomer e di alcune sue opere, mette in luce l’ambiguità, anche drammatica, celata dietro le apparenze della natura e della vita, divise fra superficie e profondità, fra mutamento e immutabilità, fra gioia e dolore. Come da consuetudine della nostra rivista, il contributo di Cordioli e Novaga segna la conclusione della prima parte, dedicata all’ecologia integrale e ai temi ad essa correlati. La seconda parte riguarda due temi di grande rilievo: l’apprendimento nello spazio digitale e la fragilità umana. I tre contributi relativi al primo lo affrontano in relazione a quanto è accaduto ai diversi livelli del sistema di istruzione dopo la pandemia, evento ormai spesso colpevolmente dimenticato. In realtà, come sostiene Anna Maria Ajello, lo si può considerare come un vero e proprio spartiacque rispetto al digitale a scuola. Esso, infatti, ha comportato, da un lato, un notevole miglioramento delle competenze digitali dei docenti e, dall’altro, negli studenti, un’estesa perdita di apprendimento senza altri vantaggi, né sul piano cognitivo né su quello socio-relazionale ed emotivo. È in questo contesto che viene considerato il confronto fra cultura analogica e cultura digitale e le rispettive implicazioni educative. Nel medesimo quadro post-pandemico si colloca il contributo di Ilaria Altavilla e Francesca Romano, che si focalizzano sulla convivenza tra gli strumenti digitali e quelli tradizionali: un fenomeno che implica un radicale riassetto, non solo dei luoghi fisici del sapere, ma anche e soprattutto della struttura mentale di coloro che li vivono. Ne deriva una particolare attenzione ad educare non solo con, ma anche alla tecnologia, nella prospettiva di un’educazione davvero umana. Infine, l’articolo di Oscar Tiozzo Brasiola prende in considerazione le conseguenze della pandemia sul ripensamento del sistema scolastico come strumento di risignificazione della situazione attuale. L’approccio transdisciplinare ne costituisce il metodo che fa ruotare un’ipotesi di curriculum verticale intorno all’economia civile, coinvolgendo un alto numero di discipline. Assumendo come paradigma di riferimento lo Human Development di Martha Nussbaum, centrato sulla persona e sulle sue capability, l’autore richiama un’esperienza che chiama gli insegnanti ad essere dei “facilitatori” all’interno di una scuola capacitante, che impone a tutti e a ciascuno di passare dall’essere cittadini del mondo al riconoscersi abitanti della Madre-Terra. Quanto al tema della fragilità umana, i due contributi che ad esso si possono ricondurre lo affrontano da livelli molto diversi. L’articolo di Luigina Canova et al. lo cala in una situazione specifica, quella dello stress accademico, definito secondo il modello sforzo-ricompensa, che si riflette su alcune stili alimentari (emotivo, restrittivo o esterno). Gli autori rendono conto di una ricerca condotta mediante un questionario online, i cui dati sono stati analizzati tramite analisi correlazionali e di regressione. Di carattere fondativo rispetto al tema della fragilità umana è invece il contributo di Luca Cremasco, che lo affronta dalla prospettiva del rapporto con il bene e il male. La tesi di fondo sostiene che, se il male è presente nel mondo, il bene è la risposta attiva e pratica dell’essere umano ad esso, secondo l’ordine del desiderio. In questo contesto teorico il bene, sempre al di là dell’essere umano, appare flebile, provvisorio, fragile: il nostro compito è di ravvivare una fiamma sempre debole.    
Tags: Michele Marchetto
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